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MUSEO DEL PARCO
Portofino
Centro Internazionale di Scultura all'Aperto

Il Museo del Parco è un’oasi
di Luciano Caprile

“La notte impone a noi la sua fatica magica. Disfare 1’universo, le ramificazioni senza fine di effetti e di cause, che si perdono in quell’abisso senza fondo, il tempo.”(l)
La magia di Portofino e del suo promontorio sembra il frutto succoso di un’ispirazione notturna scaturita dall’impegno del tempo che ha deciso di consumarsi in un sonno/sogno infinito. Quando l’arte incontra simili occasioni di consolazione, di mimesi e di suadente coinvolgimento emotivo, ogni connubio è possibile tra le varie espressioni della creatività. Il Museo del Parco è un’oasi, è un felice frammento frutto della fatica della notte impegnata a “disfare l’universo” per ricrearlo magari in una sola immagine riassuntiva. Le sculture trovano qui una spontanea e logica sistemazione in armonia col verde che le contiene e le determina attraverso un suggestivo rimando di morbide contaminazioni. Le novantasette presenze, che paiono collocate dal destino, si propongono con la delicatezza dell’apparizione lungo discreti sentieri o su ripiani di sassi o in nicchie silvestri o in soste di accoglienze contemplativa. Di modo che lo sguardo non subisca intervalli nella beatitudine ma possa assimilare gli splendori del paesaggio a quelli offerti dai racconti dei bronzi, dei marmi, dei mosaici, delle ceramiche.
In un simile contesto non ha ragione d’essere la distinzione tra gesto astratto, informale o figurale: uno spazio, dove convivono in armonica seduzione 1’aspra essenzialità di una roccia con la delicata grazia della camelia, può accogliere alla stessa ribalta immaginativa la provocazione concettuale di Joseph Beuys (l’ultimo gioiello in ordine temporale della raccolta) e la classica plasticità di. Ernesto De Fiori. Ciò che sarebbe difficile o inconcepibile in un ambiente chiuso, cadenzato o distillato dalle pareti e dalle luci artificiali, si compie in assoluta naturalezza in questo luogo/non luogo sospeso tra realtà e desiderio, sigillato dall’impronta di quella notte estatica. In tali percorsi ogni incontro si traduce in una sorpresa che contiene la logica della premonizione: è la genuina meraviglia suscitata da una particolare rosa in un roseto che pur razionalmente è prevista ma mai compiutamente risolta. L’arte riserva questi felici tranelli a chi si inserisce nel canto più ampio della natura e delle sue più recondite trame che talora riusciamo a percepire tra i respiri delle fronde.
Dalla parete di un tempietto votivo nascosto nel verde si dirama, col tramite di un variegato mosaico di Gino Severini, un racconto radiale che trova da sé le logiche collocazioni e i rimandi. In un bassorilievo di Fortunato Depero si riscopre nel canto del gallo un richiamo futurista, nell’escavazione metamorfica del primo Arnaldo Pomodoro e di suo fratello Giò si intuisce il profondo legame con la terra, con quelle radici che ci competono e incidono la nostra anima. Accogliamo poi le presenze totemiche di Salvatore Fiume e di Giuseppe Spagnulo, l’arcaico colloquio di Enzo Cucchi e il volto in maschera di Primo Conti. Quindi ci abbandoniamo al sereno colloquio con la donna assisa di un Lucio Fontana non ancora tentato dalle fughe spaziali e allo slancio aereo di Patrizia Guerresi. Se improvvisamente veniamo assaliti dal desiderio di sondare gli oracoli, questi sono gli ambienti che coniugano in perfetta sintesi mare, terra e cielo: per le nostre esigenze ci viene offerto il severo altare di Fausta Squatriti o l’arcuato conforto delle tessere auree di Luciano Bartolini. Così possiamo interrogare l’impassibile ruota solare di Walter Di Giusto o le ali a nido d’ape di Toyofuko o gli enigmatici alfieri di Bruno Ceccobelli. Ma attendiamo domande e risposte anche dalle modulate aspirazioni di Pablo Atchugarry, dall’armonico rigore di Pietro Consagra, dalle soluzioni composite di Afro e di Mirko Basaldella, dalle costruzioni alchemiche di Claudio Costa, dall’ironica intuizione di Man Ray, dall’idea folgorante di Bruno Munari, dai moduli essenziali di Getulio Alviani. E poi da Renato Guttuso, da Alexander W. Kosuth, da Mattia Moreni, da Aldo Mondino, da Gianni Dova, da A.R. Penck, da Concetto Pozzati....e l’elenco continua, al pari del viaggio, prima di imbatterci in un’opera e in una dichiarazione di Ban Vautier: “L’art n’existe pas”. Solo a questo punto possiamo pensare di aver compiuto un viaggio nell’assurdo, nell’impalpabile, in quella magia che ha disfatto l’universo senza lasciare una piccola testimonianza del meglio di sé. Allora non rimane che un’unica soluzione: ricominciare il percorso daccapo confidando di non uscire mai dall’inganno di questo labirinto.
Luciano Caprile
(1) Da Jorge Luis Borges “Il sonno” in “La cifra”, 1981

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